82016Dic
Gli illeciti a sfondo “omofobico”: ingiuria e diffamazione

Gli illeciti a sfondo “omofobico”: ingiuria e diffamazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che non costituisce reato usare il termine ”omosessuale” nei confronti di una persona che non appartenga a tale categoria.

Nel caso esaminato dagli ermellini, l’imputato era stato accusato del reato di diffamazione, che si configura quando viene offesa la reputazione di un soggetto in sua assenza, il quale viene dunque privato della possibilità di difendersi prontamente replicando alle accuse infamanti che gli vengono rivolte. La Corte ha ritenuto di dover assolvere l’imputato rilevando che egli non aveva in alcun modo offeso la “reputazione” del suo interlocutore ma avesse, più semplicemente, leso il suo diritto alla “identità personale” rappresentando falsamente i suoi gusti sessuali.

Secondo i giudici della Suprema Corte la lesione della “reputazione” si ha soltanto quando viene attribuita ad una persona una qualità che, non solo sia falsa, ma anche ritenuta riprovevole dalla società, cosa che certamente non può dirsi al giorno d’oggi con riferimento all’omosessualità.

Questa sentenza ha fatto molto discutere sul web perché, non molti anni addietro, si parla del 2010, la stessa Corte aveva condannato una persona che era stata imputata di “ingiuria” per aver scritto una lettera in cui aveva dato del “gay” al destinatario. E’ opportuno chiarire che l’ingiuria, a differenza della diffamazione, si configura quando l’offesa viene comunicata direttamente (o comunque anche) al soggetto interessato e che, dallo scorso Febbraio, non costituisce più reato essendo stato “abrogato” e trasformato in un illecito civile per il quale si può solo intraprendere una causa per vedersi riconosciuto il risarcimento dei cosiddetti “danni morali”.

Tornando alle due sentenze emesse dalla Cassazione, il contrasto che ne è stato ravvisato da molti è, a mio modesto avviso, del tutto apparente, in quanto anche nel primo caso il termine “gay” era stato utilizzato nella missiva inoltrata dall’imputato per qualificare in maniera spregiativa le molestie che il soggetto interessato aveva avuto nei confronti di alcuni ragazzi minorenni. Dunque, anche in quel caso, la Corte non aveva affatto ritenuto di per sé offensiva la parola “gay”, bensì il suo accostamento al concetto di pedofilia, che invece è da sempre ritenuto, e non potrebbe essere diversamente, censurabile dalla nostra società.

Avv. Andrea Ricci

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